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martedì 26 febbraio 2013

Una tempesta di sogni




Guardo e riguardo Ariel che si muove al ritmo di una musica interiore. Vedo la forza e la perfezione di ogni gesto, il palpitare del respiro, il ritmo ondoso dei movimenti. Guardo, riguardo e mostro il video a tutti quelli che mi stanno vicino perché trovo insopportabile tenere per me questo splendido miracolo dell'artificio teatrale. La corda c'è, si vede. Lo sappiamo, caro Maestro, che nel mondo reale non si vola. Eppure Giulia Lazzarini sembra nata per farlo. Il suo volo è così lieve da sembrare naturale. Se ci si ferma a riflettere però appaiono subito alla mente interminabili e faticose prove, immancabili errori e goffaggini, paura, dolore, stanchezza. Un'esecuzione così perfetta può nascere solo se sostenuta da un'impalcatura costruita un pezzettino alla volta con pazienza e coraggio. 
Il teatro deve scuotere la vita, rovesciarla, far venire a galla quello che non si può dire. Deve far nascere una tempesta che smuova le coscienze e tolga il fango dalla mente. Questo e molto altro ha fatto il teatro di Strehler che, come i grandi geni, aveva già previsto tante cose quando ha deciso di mettere in scena opere come "Il giardino dei ciliegi". 
Un capolavoro è immortale perché dice qualcosa di vero in ogni momento e per ogni uomo che si trovi a contemplarlo. E più guardo il "Giardino" più mi pare che parli a un oggi di bambini appendici dei genitori che potano loro i rami. A un oggi di bellezza abbattuta dall'ignoranza. A un oggi in cui fragilità e tenerezza sono merci da deridere e calpestare. A un oggi, proprio oggi 26 febbraio, in cui "tutto cambia affinché nulla cambi".
Mettiamo sul piatto di una bilancia i personaggi del giardino: l'infantile chiacchiericcio di Gaiev e la praticità contadina di Lopachin; lo spirito infuocato di Liuba e l'analitica freddezza di Trovimov; la speranza di Ania e la memoria di Firs, il maggiordomo puramente regale. Varia rappresenta il perno centrale: accetta il futuro senza rigettare il passato, agisce senza dimenticare la bellezza, ama ma non lascia che l'amore la consumi. Varia non colpisce lo spettatore come Liuba, ma penetra nell'anima discretamente, con il sorriso limpido e con lo sguardo avvolgente della Lazzarini. 
Non so cosa succederà questo fine settimana nel seminario intensivo di "Sacrificio". Pensare di avere tra noi Ariel, lo spirito del teatro, è decisamente al di fuori della portata della mia immaginazione. So solo che gli incontri straordinari, come sarà per noi quello con Giulia Lazzarini, non lasciano ordine dietro di sé: come vento scompigliano i capelli e arruffano un po' l'anima. E vivere spettinata è quello che mi piace.

mercoledì 19 settembre 2012

Ma che film la vita

Il calendario dice che i giorni si staccano dal presente uno a uno, l'orologio batte il tempo per ricordarmi che sono tante le cose da fare in ogni momento, il telefono squilla e mi dice che qualcuno ha bisogno di un piacere, vuole vendermi un'enciclopedia sul paramecio o, più raramente, vuole sentire la mia voce per accertarsi che io ci sia. 
Il fine settimana appena trascorso mi ha vista gravitare in un universo parallelo, in cui il telefono non prendeva, il calendario si è suicidato gettandosi dal chiodo e l'orologio ha avuto un infarto con improvvisa sospensione del battito. Questo universo si chiama teatro.
Ho avuto la fortuna di partecipare al seminario di tre giorni organizzato da Stradanova per scegliere la squadra allargata da cui usciranno attori e aiuto registi per l'allestimento di "Sacrificio" ed è stata un'esperienza travolgente.

Prendete una cinquantina di giovani appassionati di teatro, chiudeteli in un teatro, metteteci un talentuoso film maker, due umani registi con grandi capacità di resistenza  e gustatevi l'esperimento sociale che fa impallidire il Grande fratello e tutti i Reality Show di questo mondo. Vi aspettate competizione e rivalità? Ecco invece cosa è successo.

Il tempo è scandito dai respiri, dapprima appesantiti dall'ansia e poi in volo; rintocca nei versi del Re Lear di Shakespeare e nel loro incedere via via più sicuro; batte nello sfogo di un applauso. 
Il tempo si affretta a stringere i nodi di legami tra cuore e cuore, effimeri forse, ma non per questo meno intensi. Fa il tiranno, si rende prezioso, si avvita su se stesso quando è il momento di provare e riprovare lavorando sulle parti.
Il tempo giardiniere passa, annaffiando le capacità di ognuno, potando gli eccessi, concimando i talenti.


Gli attori che sono saliti sul palco domenica non erano più gli stessi di venerdì sera. Prima erano normali ragazzi del nostro secolo. Alla fine sono diventati subdole Goneril, bastardi Edmund, trafelati gentiluomini, accorati Lear, profetici Fool, capaci di trasmettere una vibrazione intensa e senza età. Il tempo passato insieme ha fatto crescere ognuno di noi, senza distinzioni. In questo non importa affatto il risultato. Ognuno di noi si è sentito parte del progetto, ognuno di noi è un ingranaggio fondamentale del meccanismo di "Sacrificio". In questo ho avvertito per la prima volta in concreto cosa sia lo "slow theatre".

In attesa della cerimonia conclusiva del casting, da cui dovevano uscire i risultati, ci siamo trovati finalmente distesi e rilassati a giocare a pallavolo con un pallone rimediato. In quel momento, tra una risata e una pallonata, ho pensato che è profondamente scorretto il luogo comune che vuole che i giovani d'oggi non abbiano più passioni. E' un luogo comune scorretto perchè manca della premessa: se non viene loro dato modo di credere in un sogno, i giovani non hanno passioni. Se gli adulti non trasmettono entusiasmo, i giovani non sono stimolati alle passioni. Se il mondo pretende di farli adagiare sulla normalità, i giovano perdono le passioni.

"Sacrificio" è un progetto da sognatori, da Don Chisciotte che sfida i mulini a vento della spazzatura culturale ammassata dalla società televisiva. I giovani l'hanno seguito d'istinto: più di duecento persone hanno partecipato alle prime selezioni. Allora domandiamoci perchè i giovani non sono attratti dalle filodrammatiche: non possiamo più nasconderci dietro un dito e dire che temono gli impegni. Chiediamoci se offriamo loro il modo di crescere. Chiediamoci se offriamo loro l'opportunità di imparare. Chiediamoci se offriamo loro la possibilità di continuare a sognare.

giovedì 2 agosto 2012

"Sacrificio" e la nuova strada

Noi bibliotecari, si sa, siamo campioni olimpici di ginnastica culturale fantasiosa: ci slanciamo sulle parallele di bilancio e aspettative, che non si incontrano mai; piroettiamo con alterni umori tra "Il Signore degli anelli" di Tolkien e "L'anello" di Danielle Steel; saltiamo sui cavalli dei best seller per cercare di afferrare qualche libro sconosciuto, che se ne sta lassù, nell'Olimpo della piccola editoria; facciamo i salti mortali tripli per movimentare il deserto dei Tartari che ci circonda. 
Quando ci capita di imbatterci in qualche idea culturale innovativa siamo attirati come le api dai fiori (o come i tafani dalle mie gambe, paragone più calzante in questi giorni). Proprio per questo quando sono incappata nel bando per i provini di "Sacrificio", mi sono lasciata prendere all'amo dall'idea di superare il campanilismo e di mettere in scena uno spettacolo trentino di alto livello, con competenze selezionate e obiettivi ben definiti.
Dopo il primo colloquio selettivo, per il provino mi è stato chiesto di visionare il "Re Lear" di Shakespeare con la regia di Strehler. Negli scorsi mesi mi sono imbattuta nella monumentale figura di Strehler, grazie alla passione di un amico, e sono stata incantata dalla sua biografia e dalle foto dei suoi spettacoli. Con la mia connessione lenta, non sono mai ruscita a vederne in internet più di qualche spezzone, per cui ho colto con gratitudine l'occasione per prendermi il tempo necessario e scaricare il video.
Sono state quattro ore che mi hanno fulminata: il "Fool" Ottavia Piccolo mi ha lasciata a bocca spalancata, il "Lear" Tino Carraro ha fatto vibrare variazioni di sentimenti in equilibrio tra il bene e il male, i personaggi negativi mi hanno messa davanti ancora una volta all'abisso dell'ipocrisia. Avevo già letto il "Re Lear" qualche anno fa, ma ritrovarlo così mi ha dato una scossa incredibile: l'attualità del genio di Shakespeare mi è apparsa come mai prima avevo colto. Anche in passato ho riso alle sue trovate comiche e pianto per la caduta dei suoi personaggi tragici. Mai però ho avuto come oggi la voglia di mostrare a tutti l'eccellenza: l'accoppiata S & S, Shakespeare e Strehler, partorisce una creatura prodigio, resistente al tempo e allo spazio. Se avete voglia di investire in una banca sicura qualche ora del vostro tempo, trovate qui la prima parte e qui la seconda. Vi garantisco che in questa banca anche dalla crisi più profonda nascono riflessioni che fanno crescere gli interessi del nostro capitale umano!

Non so come andrà il provino, ho visto nomi di persone che conosco e rispetto per la loro esperienza e bravura, per cui non ho grandi aspettative. Sono però felice di essere arrivata fin qui, di aver avuto l'opportunità di farmi penetrare da qualcosa di cui avevo solo il sentore, di crescere un po' conoscendo persone che credono fermamente nell'importanza della cultura e della divulgazione.
Auguro a "Sacrificio" una gestazione piena e serena, un parto che faccia apprezzare la bellezza di certi dolori e una crescita sana e vigorosa. Certo, servono tante energie per produrre i semi futuri e non sempre le coscienze sono terreno fertile. Aprire una nuova strada non è impresa semplice: i rovi pungono e il deserto vuole la sua parte. Ho visto però forza, pazienza e passione, machete sufficiente ad aprire il primo varco!

martedì 24 luglio 2012

La "filìa"...e il cerchio di un Prete.

Certi giorni vanno così. Apri un vaso e dirompenti escono i venti di notizie che vorresti cacciare, soffiare via con tutte le tue forze. 
Ho appena saputo che è morto Don Attilio, il professore di matematica che ha accompagnato anni della mia vita con la sua burbera ironia, anche quando non insegnava più nella mia classe. Una retta tangente all'iperbolico entusiasmo dei miei 18 anni, un assioma incrollabile da conservare nel cuore e nella mente, un'espressione che ci ha insegnato ad affrontare le incognite della vita.
Proprio ieri ho letto con indignazione dell'ennesimo caso di preti pedofili, uomini errati, uomini non Uomini. Con tanta più forza ora voglio dire che ci sono ancora Uomini che hanno dedicato ai giovani la loro vita, a volte travagliata, senza chiedere in cambio nulla, senza ipocrisie, senza sotterfugi. Solo ed esclusivamente per quel sentimento che i Greci chiamavano φιλία, "Amore" immateriale, amicizia della vita e del prossimo senza chiusura di cuore.
Mi sembra impossibile: la settimana scorsa hanno regalato ai miei figli due "marenghi d'oro" e mi è affiorato spontaneo il ricordo delle interrogazioni di matematica, quando don Agostini chiamava il malcapitato di turno con una delle sue frasi celebri: "Vei chi, che te dago en marengo d'oro!".  I motti di "Attila", passato alla storia per la sua apparente inflessibilità, hanno inciso la memoria di generazioni di studenti. 
Superati gli spigoli, don Attilio appariva rotondo, accogliente, giusto. Come un teorema, che una volta trovata la via della dimostrazione si apre in tutta la sua meravigliosa semplicità. Un uomo delle montagne, fatto di roccia e di vento, saldo e maestoso nella sua severità.
Il ricordo più caro che ho di lui è una ricreazione passata vicino alla finestra a parlare. Appena rientrata da un anno trascorso in Germania, ero in crisi per l'imposizione improvvisa della scuola di recuperare con un esame tutte le materie dell'anno "perduto" ed ero stata attaccata da più fronti per la mia decisione di partire. Lui, il matematico circolare dalla mente aperta, è stato uno dei pochi che mi hanno sostenuta  e lo ha fatto spiegandomi che le nozioni non valgono mai quanto un tempo di nuove esperienze. Lui, il professore severo con chi non studiava, mi ha insegnato a non farmi abbattere da quello che pensano gli altri. L'amore per la vita implica, inesorabilmente, di viverla in pieno. Senza rimpianti.
Capita ancora che le persone fraintendano il mio modo di essere, che nei miei entusiasmi trovino malizia, o che nella φιλία scorgano altro. Sono i Maestri che ho incontrato nel mio cammino che mi hanno insegnato ad andare a testa alta, ad affrontare il mondo con il sorriso senza paura di quello che gli altri vi possano scorgere. Non ho imparato la capacità di affrontare le espressioni a troppe incognite, non ho imparato il calcolo veloce, la comprensione immediata dei problemi troppo complicati per me. Ho imparato però l'arte della pazienza, dell'ascolto, dell'analisi imparziale dei dati, dell'accettazione delle infinite possibilità. Tutto è relativo, certo, ma le stelle fisse non si muovono. I punti di riferimento restano imperturbabili e mi ci abbarbico con la forza disperata di un naufrago.

Domenica ho cercato e ascoltato a più riprese questa canzone di Branduardi: ora so che non è stato un caso. Sali alto sopra le tue montagne, cuore di Matematico; lascia la zavorra dei tuoi mali e non dimenticarti i marenghi d'oro. Ti riempia le tasche l'oro di tutti i sorrisi che hai provocato e di tutte le lacrime che chi ti ha amato non può trattenere ora. Il cerchio non si è chiuso; ha aperto le sue braccia diventando retta, un'infinita retta da percorrere con Speranza. Fede. Φιλία.

venerdì 13 luglio 2012

Gratias a la vida!

Servirebbe un vocabolario fatto di parole silenziose e dense per scrivere la poesia dei sette giorni appena trascorsi. Da un libro sono partite riflessioni su cosa conta realmente e i pensieri hanno preso il volo sulle ali della musica di Joan Baez, che ho avuto il privilegio di ascoltare dal vivo a Trento. Le note di pace e amore, di vita e natura hanno trovato eco tra le mie montagne che negli scorsi giorni mi hanno coccolato: la Vallestrè ci ha accolti con i suoi pascoli, il lago di Nembia ci accarezzato con la sua aria fresca, Deggia ci ha abbracciati con la sua ombra luminosa.
Ieri a Deggia è stata una giornata piena di poco: di chiacchiere, risate, luci di bambini. Mani che lavorano, occhi che riflettono, orecchie aperte. Proprio lì negli ultimi tempi ha trovato dimora uno degli orsi e ieri per la prima volta mi sono sentita in armonia perfino con lui, che ha avuto la disgrazia di imbattersi in turisti che l'hanno visto bianco come una qualsiasi pecorella. Ora me lo immagino vagare per i nostri boschi con crisi di identità, cercando uno specchio per accertarsi di non essersi trasformato in un orso polare. 
Donne che ridono, donne che lavorano, donne che immortalano con un clic di cuore ogni momento vissuto insieme in semplicità. A loro voglio regalare questa canzone che meglio delle mie chiacchiere riassume il senso delle mie emozioni. 
Anche Cinciarella e Lara dicono la loro sul tempo passato insieme ieri!


"GRACIAS A LA VIDA", JOAN BAEZ

Gracias a la Vida que me ha dado tanto
me dio dos luceros que cuando los abro
perfecto distingo lo negro del blanco
y en el alto cielo su fondo estrellado
y en las multitudes el hombre que yo amo.

Gracias a la vida, que me ha dado tanto
me ha dado el oido que en todo su ancho
graba noche y dia grillos y canarios
martillos, turbinas, ladridos, chubascos
y la voz tan tierna de mi bien amado.

Gracias a la Vida que me ha dado tanto
me ha dado el sonido y el abedecedario
con él las palabras que pienso y declaro
madre amigo hermano y luz alumbrando,
la ruta del alma del que estoy amando.

Gracias a la Vida que me ha dado tanto
me ha dado la marcha de mis pies cansados
con ellos anduve ciudades y charcos,
playas y desiertos montañas y llanos
y la casa tuya, tu calle y tu patio.

Gracias a la Vida que me ha dado tanto
me dio el corazón que agita su marco
cuando miro el fruto del cerebro humano,
cuando miro el bueno tan lejos del malo,
cuando miro el fondo de tus ojos claros.

Gracias a la Vida que me ha dado tanto
me ha dado la risa y me ha dado el llanto,
así yo distingo dicha de quebranto
los dos materiales que forman mi canto
y el canto de ustedes que es el mismo canto
y el canto de todos que es mi propio canto.




GRAZIE ALLA VITA

Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato due stelle che quando le apro
perfetti distinguo il nero dal bianco,
e nell'alto cielo il suo sfondo stellato,
e tra le moltitudini l'uomo che amo.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato l'ascolto che in tutta la sua apertura
cattura notte e giorno grilli e canarini,
martelli turbine latrati burrasche
e la voce tanto tenera di chi sto amando.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato il suono e l'abbecedario
con lui le parole che penso e dico,
madre, amico, fratello luce illuminante,
la strada dell'anima di chi sto amando.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato la marcia dei miei piedi stanchi,
con loro andai per città e pozzanghere,
spiagge e deserti, montagne e piani
e la casa tua, la tua strada, il cortile.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato il cuore che agita il suo confine
quando guardo il frutto del cervello umano,
quando guardo il bene così lontano dal male,
quando guardo il fondo dei tuoi occhi chiari.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto,
mi ha dato il riso e mi ha dato il pianto,
così distinguo gioia e dolore
i due materiali che formano il mio canto
e il canto degli altri che è lo stesso canto
e il canto di tutti che è il mio proprio canto.

Grazie alla vita che mi ha dato tanto.


sabato 7 luglio 2012

Telaio mezzo pieno (dopo il mezzo vuoto)...

Ci sono voluti cinque mesi per mettere al mondo questo post, tra bozze abortite e fotografie lasciate a prender la polvere. Di cinque mesi ho avuto bisogno per capire che il tempo mancante o la pigrizia sono state solo scuse accampate per mettere in prigione le parole, per imbrigliare la voglia di mettere parti di me in semi lanciati nel mondo.
Avrei voluto scrivere dell'arte della tessitura, di cui la mia amica Cinciarella mi ha insegnato con pazienza i rudimenti. Sentivo naturale il paragone con la vita, con il suo andare e venire, i suoi colori, le sue cesure. Avrei voluto parlare del Tessitore che intreccia i fili delle nostre anime e ne fa tappeti di storie. Il Tessitore che "davanti all'orditoio fa scorrere tra le mani il prezioso filo di secondi intrecciati e con movimenti esperti crea incroci a forma di infinito. Il bandolo che sguscia dalle sue dita alla fine della matassa viene fermato con un nodo, colonna d'Ercole che protegge dal vuoto. Con immensa cura ogni filo trova la sua collocazione sul telaio, con tensione adeguata e lunghezza perfetta". Ho iniziato a scrivere dei fili buoni e di quelli che si spezzano, della forza dell'ordito e della variabilità della trama. Come Penelope non ho mai portato a termine questo piccolo stralcio di vita. Perché?
Ora ho capito che per mesi ho avuto il terrore di perdere le mie parole. Ho scritto per dovere, ho scritto per me, ho scritto per svuotare invece che per riempire. Ho accumulato mucchi di parole non scritte in un deposito sulla collina, intoccabile e inarrivabile, perché più nessuno potesse scalfire il mio tesoro, quello che le parole esprimono. Perché nessuno potesse più tirare il bandolo e distruggere in un secondo il senso del lavoro. Perché non ci fossero più frantendimenti a inquinare i miei entusiasmi.
Poi ho ricevuto delle scuse, di cui non pensavo di avere bisogno. E ho capito che non è da me risparmiarmi, che non posso chiudermi in cassaforte per paura che gli altri non capiscano, che non posso stare senza entusiasmarmi di fronte alle persone che in qualche modo rientrano tra i fili di colore complementare al mio. Sono gialla, irrimediabilmente gialla. Il mio filo stona, irrita, non sta bene con tutto. Posso esaltare i colori che ho vicino, purchè non cerchino di spegnermi a forza. So stare anche con il nero, qualche volta. E' il grigio che proprio non sopporto: il grigio che non trova un sorriso e che si sente tanto elegante.


Riparto da qui: dai tanti colori cui mi sono sentita affine in questi giorni, dai fili di ordito che sono solidi e brillanti, dalle prospettive di disegni futuri. Accetto il fatto che ci sarà ancora chi non comprenderà il mio entusiasmo, chi criticherà i miei disegni e chi non avrà la forza di accettare il mio giallo. Qualcuno cercherà ancora di passarmi in lavatrice a 90 gradi, ma ormai ho capito che non stingo e non mi restringo.
 


Riparto da un tappeto colorato e dalle persone speciali che hanno aspettato finora per vedere le loro foto nel mio blog. Riparto da abbracci di anime piene e dalle tante trame vive e in costruzione. Chi ha paura del giallo può sempre scappare in un altro telaio e non per questo sarà meno importante per me!

 

martedì 14 febbraio 2012

14 febbraio

Sono passati vent'anni dal primo grande distacco della mia vita. E neanche a farlo apposta in questi giorni sono successe molte cose che mi hanno fatto pensare.
L'altro giorno quando sono andata a prendere i bambini a casa dei miei, Brugola indossava un maglione che era mio quando avevo la sua età. Mia mamma ha regalato quasi tutte le mie cose e vedere addosso alla mia bimba una maglia lavorata da mia nonna mi ha stretto il cuore in un abbraccio. Credo sia l'unico maglione rimasto e non l'avevo mai più rivisto prima di domenica.
Sempre domenica, rovistando tra vecchie lettere (per caso?) ho ritrovato una carta che cercavo invano da anni. E' l'unica poesia di mio nonno dedicata a me: l'ho sempre conservata gelosamente, ma nel trasferimento era andata persa. Non è mai stata pubblicata per cui non ne restavano copie e io ne ricordavo a memoria solo metà. Non so descrivere la gioia intensa che ho provato, il calore del sollievo che si è sciolto in lacrime senza che potessi far nulla per fermarle.
Oggi è un giorno strano, uno di quelli in cui ho bisogno di un abbraccio che non esiste più. O che esiste, ma non si vede.
In quanti momenti avrei voluto vedervi, non solo sentirvi, al mio fianco! Quante piccole e grandi felicità avrei voluto dividere con voi. 
Oggi è San Valentino, ma San Valentino non è una giornata da festeggiare. Non lo è mai stata. 
Domani andrà meglio e allora potrò sentirvi più vicini, potrò di nuovo affidarvi tutto quel che ho. Ora è il momento del senso di vuoto, ancora. Non credo passerà mai.


GRAZIE, GRAZIE, GRAZIE!