Certi giorni vanno così. Apri un vaso e dirompenti escono i venti di notizie che vorresti cacciare, soffiare via con tutte le tue forze.
Ho appena saputo che è morto Don Attilio, il professore di matematica che ha accompagnato anni della mia vita con la sua burbera ironia, anche quando non insegnava più nella mia classe. Una retta tangente all'iperbolico entusiasmo dei miei 18 anni, un assioma incrollabile da conservare nel cuore e nella mente, un'espressione che ci ha insegnato ad affrontare le incognite della vita.
Proprio ieri ho letto con indignazione dell'ennesimo caso di preti pedofili, uomini errati, uomini non Uomini. Con tanta più forza ora voglio dire che ci sono ancora Uomini che hanno dedicato ai giovani la loro vita, a volte travagliata, senza chiedere in cambio nulla, senza ipocrisie, senza sotterfugi. Solo ed esclusivamente per quel sentimento che i Greci chiamavano φιλία, "Amore" immateriale, amicizia della vita e del prossimo senza chiusura di cuore.
Mi sembra impossibile: la settimana scorsa hanno regalato ai miei figli due "marenghi d'oro" e mi è affiorato spontaneo il ricordo delle interrogazioni di matematica, quando don Agostini chiamava il malcapitato di turno con una delle sue frasi celebri: "Vei chi, che te dago en marengo d'oro!". I motti di "Attila", passato alla storia per la sua apparente inflessibilità, hanno inciso la memoria di generazioni di studenti.
Superati gli spigoli, don Attilio appariva rotondo, accogliente, giusto. Come un teorema, che una volta trovata la via della dimostrazione si apre in tutta la sua meravigliosa semplicità. Un uomo delle montagne, fatto di roccia e di vento, saldo e maestoso nella sua severità.
Il ricordo più caro che ho di lui è una ricreazione passata vicino alla finestra a parlare. Appena rientrata da un anno trascorso in Germania, ero in crisi per l'imposizione improvvisa della scuola di recuperare con un esame tutte le materie dell'anno "perduto" ed ero stata attaccata da più fronti per la mia decisione di partire. Lui, il matematico circolare dalla mente aperta, è stato uno dei pochi che mi hanno sostenuta e lo ha fatto spiegandomi che le nozioni non valgono mai quanto un tempo di nuove esperienze. Lui, il professore severo con chi non studiava, mi ha insegnato a non farmi abbattere da quello che pensano gli altri. L'amore per la vita implica, inesorabilmente, di viverla in pieno. Senza rimpianti.
Capita ancora che le persone fraintendano il mio modo di essere, che nei miei entusiasmi trovino malizia, o che nella φιλία scorgano altro. Sono i Maestri che ho incontrato nel mio cammino che mi hanno insegnato ad andare a testa alta, ad affrontare il mondo con il sorriso senza paura di quello che gli altri vi possano scorgere. Non ho imparato la capacità di affrontare le espressioni a troppe incognite, non ho imparato il calcolo veloce, la comprensione immediata dei problemi troppo complicati per me. Ho imparato però l'arte della pazienza, dell'ascolto, dell'analisi imparziale dei dati, dell'accettazione delle infinite possibilità. Tutto è relativo, certo, ma le stelle fisse non si muovono. I punti di riferimento restano imperturbabili e mi ci abbarbico con la forza disperata di un naufrago.
Domenica ho cercato e ascoltato a più riprese questa canzone di Branduardi: ora so che non è stato un caso. Sali alto sopra le tue montagne, cuore di Matematico; lascia la zavorra dei tuoi mali e non dimenticarti i marenghi d'oro. Ti riempia le tasche l'oro di tutti i sorrisi che hai provocato e di tutte le lacrime che chi ti ha amato non può trattenere ora. Il cerchio non si è chiuso; ha aperto le sue braccia diventando retta, un'infinita retta da percorrere con Speranza. Fede. Φιλία.