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martedì 8 novembre 2011

Retroscena di una canzone...un Fante in marcia

Quando inizio a interrogarmi sul testo di una canzone che mi piace, immagino l'autore sommerso dagli spartiti in una camera insonorizzata con una finestra sul mondo. Non so perchè, ma ho sempre pensato che le canzoni nascessero in una camera asettica, staccata in qualche modo dal mondo reale per poterlo meglio osservare.
 

Dopo l'emozionante concerto di sabato Gianluca Fantelli  e i suoi amici (Andrea, Serena, Paola) ci hanno invitati a mangiare con loro. L'indole conviviale bolognese mi conquista sempre: è quella voglia estrema di conoscere le persone, di attirarle nel proprio mondo, di abbracciarle senza paura del contatto. Pratiche che qui in Trentino a volte scarseggiano. Perchè l'abitante del Trentino è un po' come lo strudel: ci vuole un po' di forza per rompere la crosta e trovare il soffice e dolce cuore di mele.

L'atmosfera a tavola ha mantenuto quella benefica elettricità che ci circonda dopo uno spettacolo che ha fatto vibrare le nostre antenne profonde. A un certo punto, non so come, Gianluca ha buttato sul tavolo il primo verso di una nuova canzone. Altro che stanza sterile: il bambino ha deciso di nascere lì, con impeto, proprio in quel momento. Senza nemmeno il tempo di chiamare l'ostetrica. 
Tra un canederlo e una fetta di carne salada i quattro amici sono riusciti a coinvolgerci in un gioco di parole quasi irreale. Gianluca lanciava l'amo di un verso e tutti insieme (anche noi profani) cercavamo di trovare il pezzo mancante. Che era lì, da qualche parte: magari sotto il tavolo o negli occhi di qualcuno di noi. Come una settimana enigmistica della canzone; come un puzzle di suoni; come una partita a Scarabeo dove le parole non sono buttate su un tabellone, ma trovano un senso più profondo legandosi alle altre con la colla delle esperienze. 
Forse avrete capito che amo alla pazzia le parole: la loro melodia, la loro forma sulla carta (soprattutto se scritte a mano, come l'altra sera ha fatto Marco  che prendeva appunti e rileggeva i versi già scritti), i loro molteplici significati, le loro infinite modulazioni quando escono dalla nostra bocca.  Chi mi conosce può immaginare come quella cena sia stata avvincente per me; vi basti sapere che la notte non ho dormito perchè le parole mi hanno trascinata in una fiaba. Parole che mi uscivano dalla punta delle dita, parole che si sono posate sulla carta, senza fare rumore, per togliere un peso dal petto. Parole. Parole. Parole. Quanto è terapeutico scrivere? Non importa che qualcuno legga; importa solo cardare i pensieri, ordinarne le fibre, far girare la mente per creare un filo da inserire in quella interminabile coperta che è la nostra vita. Ogni filo avrà colori e consistenze diverse, come la sciarpa di Cinciarella. Ma sapete quanto calore lascia quella coperta a chi ci sta a fianco? Scusate, sto come al solito sfruttando la pazienza di chi ha voglia di leggere la mia terapia psicanalitica ("La coscienza di Zeno" ha lasciato il segno. Forse la coscienza di Tartamaca non sarà un capolavoro, ma serve allo scopo!)

E' la prima (e probabilmente ultima) volta che assisto al parto di una canzone. Spero di poterla ascoltare presto perchè ormai mi sento un po' madrina di questa nuova creatura che Gianluca ha dato al mondo. Forse devo iniziare a pensare al regalo per il battesimo...
Se volete conoscere Gianluca vi consiglio di leggere il suo libro "Senza respiro" di Minerva edizioni. Si tratta del racconto di un anno particolare, ricco di incontri avvenuti e mancati e soprattutto pieno di vita e di voglia di realizzare i propri sogni. Potrebbe essere un bel regalo di Natale per una persona a cui volete bene.
Oppure visitate il suo sito www.iovivoiovivro.it




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